venerdì 15 giugno 2018

PADRI

Ogni anno più di duecentomila giovani italiani vanno all’estero a cercare un lavoro migliore di quello che potrebbero (forse) trovare in Italia. Sono duecentomila migranti economici e tra loro ci sono due dei miei figli che, dunque, si sono comportati esattamente come i giovani senegalesi o nigeriani che vengono in Italia a cercare un lavoro migliore di quello che potrebbero (forse) trovare nel loro paese.
I miei figli hanno potuto affrontare le difficoltà e la solitudine senza correre rischi seri: non hanno dovuto attraversare deserti, pagare scafisti, nascondersi per evitare di essere arrestati. Hanno preso un aereo con un passaporto in tasca e hanno avuto la possibilità di trovare un lavoro “in regola” nei paesi in cui sono andati. Ovviamente hanno dovuto dimostrare di meritare il lavoro che volevano e accettarlo alle condizioni che il mercato offriva, ma nessuno li ha costretti a cercarsi un caporale e pagare il pizzo, nessuno li ha ricattati perché stranieri o criminalizzati perché rubavano il lavoro ad altri. Per fortuna non hanno incontrato ministri convinti di scrivere la storia comportandosi da bulli di periferia, né leggi impossibili da rispettare fatte solo per spingerti verso l’illegalità.
Mi dispiace un po’ non averli vicini, ma non sono preoccupato per loro e sono contento che possano costruire la loro vita nel modo che hanno scelto.
Sono molto più fortunato di tanti papà senegalesi o nigeriani che aspettano una telefonata per sapere se i loro figli ce la stanno facendo.

martedì 12 giugno 2018

ALZARE LA VOCE PAGA ?




Alzare la voce paga” solo fino a che non incontri qualcuno che ha la voce più forte di te.
Alzare la voce è la strategia dei bulli, quelli che oggi si vantano di aver vinto con i deboli e domani -con i forti- invocheranno i diritti che con arroganza hanno violato.
Non è bravo chi risolve i problemi alzando la voce, è bravo chi li risolve trovando un criterio condiviso, senza fare a spallate, a chi urla di più, a chi ce l’ha più duro.
Alzare la voce non ha mai risolto nulla, educato nessuno, costruito alcunché.

Alzare la voce è sintomo di debolezza e di incapacità.













domenica 3 giugno 2018

SENZA PAROLE SIAMO PIU' POVERI E PIU' SOLI

Se c’è qualcosa che mi preoccupa ancora di più degli orientamenti politici che si vanno affermando è la progressiva e inarrestabile perdita di significato delle parole.
Se posso fare un’affermazione con un significato univoco e primario (“voglio”, “rifiuto”, “concordo”, “dissento”…) e poco dopo affermare il contrario senza sentire il bisogno di rendere conto (a me stesso innanzitutto!) del contrasto inconciliabile tra le due, significa che le parole non “significano” più il concetto a cui rimandano, hanno solo una funzione emozionale che dura appena il tempo di pronunciarle e nulla più. Non rimandano più a niente, non c’è più un piano di significato di cui esse sono il segno. Suoni inutili e ambigui che non servono più a nulla.
E senza parole del cui significato possiamo fidarci non c’è modo di elaborare un pensiero complesso, di spiegarsi, di comunicare compiutamente. Senza parole “sicure” diventiamo progressivamente più poveri e più soli, e non basterà una tornata elettorale per restituire loro senso e funzione. Stiamo dilapidando un capitale prezioso. Che tristezza.