domenica 22 aprile 2012

I TRE PILASTRI DELLA POLITICA

"Finisce un ventennio breve in cui i partiti emersi dopo la grande crisi di Mani pulite hanno già consumato tutta la loro credibilità polverizzando i tre pilastri della politica: la visione, la concretezza e l’opportunità”, così scriveva pochi giorni fa Luca Di Bartolomei in un suo bell’articolo (“Partiti, inutile far finta di nulla”, su Europa del 20/04/2012).
Tre pilastri, appunto: la visione, la concretezza e l’opportunità.
In altre parole COSA vogliamo fare, COME vogliamo farlo definendo i TEMPI (e la misura) in cui è possibile farlo.

Non è così complicato: anche un buon contadino che vuole piantare patate ragiona così e, se non lo fa, le patate non le avrà.
Eppure siamo riusciti a perderci, a non sapere più cosa vogliamo, a cadere nella trappola di non dirci mai il “come” e a sbagliare regolarmente i tempi, i modi e le alleanze.
Trattiamo la politica come una scienza occulta, roba da iniziati, un miscuglio di riti dall’esito incerto mentre  funziona esattamente come le patate del contadino: cosa, come e quando. Il resto serve solo a non farsi capire.
Per troppo tempo non abbiamo preteso questa chiarezza da chi fa politica ed anche in questa fase -feriti e delusi- stiamo per ricadere nella trappola di sognare improbabili scenari pur di non fare i conti con la realtà, con i numeri e con le alternative possibili.
I giornali, il web, i luoghi comuni e le barzellette si riempiono velocemente di facili slogan che dicono con estrema chiarezza cosa non vogliamo, ci regalano decine di “basta” come caramelle consolatorie e inappellabili “giù le mani da…” come esorcismi scaramantici.
In politica non possiamo più permetterci il lusso di parafrasare Montale “solo questo possiamo dirti oggi, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”: è la ricetta sicura per essere sempre perdenti!

In politica bisogna assolutamente sapere cosa siamo e cosa vogliamo e bisogna anche dirlo con chiarezza se non vogliamo perpetuare il gioco delle tre carte.
Fare politica significa prendere decisioni: ovviamente si può non essere d’accordo con le decisioni prese, ma questo disaccordo diventa “politica” solo se è capace di formulare una decisione alternativa e sostenibile. 
Se non riusciamo ad indicare decisioni e decisori alternativi e credibili non stiamo facendo politica, ma solo aumentando la confusione.
Adesso, più che mai, dobbiamo puntare all’essenziale, abbiamo bisogno di una politica concreta che passa dal cosa, dal come e dal quando, finché non sappiamo dirlo meglio tacere.

sabato 14 aprile 2012

ODDIOLACRISI!

Non tutto quello che ci succede lo scegliamo.
Molto, forse più di quanto siamo disposti ad ammettere, semplicemente ci capita.
Life is what happens to us while we are making other plans” scriveva Allen Saunders, la vita è quella cosa che ci capita mentre siamo occupati a fare progetti .
La bravura non si misura dunque da quello che ci capita, ma da quello che noi facciamo capitare nella situazione che ci troviamo a vivere, quella che -quando non ci piace- chiamiamo crisi.
Cosa diremmo ad uno sciatore che si lamenta dei paletti dello slalom o ad un pilota che si lamenta delle curve della pista ? Che quei paletti e quelle curve non sono errori di tracciato, sono il tracciato stesso,  che la sua bravura sta proprio nel riuscire ad affrontare quei paletti e quelle curve nel modo migliore, al massimo della velocità possibile sfruttando fino in fondo i mezzi di cui dispone senza andare fuori pista.
Non sempre l’etimologia delle parole aiuta a capire la vita, ma quella della parola “crisi” fa eccezione: il verbo greco (krino), da cui la parola nasce, significa “separare”, “scegliere”, “decidere”. Crisi è ogni situazione che ci costringe a scegliere come comportarci, a decidere cosa fare, a inventare un modo per trovare una soluzione.
Quando usiamo la parola “crisi” con il significato di iattura, sventura che non meritavamo, difficoltà da subire passivamente, ci comportiamo come lo sciatore o il pilota che considerano le curve un errore del tracciato.
Ci può capitare un tracciato più facile o più difficile, con più o meno curve (anche perché non conosciamo i tracciati degli altri…), ma comunque non ce lo scegliamo, mentre quello che dobbiamo scegliere è come affrontarlo.
Le “crisi” non sono altro che lo scenario nel quale siamo chiamati a lavorare per costruire nuovi equilibri, i più giusti possibili.  “Lavorare” non significa “invocare” nuovi equilibri…  non basta dire cosa vorremmo, lasciando agli altri l’onere di farlo e a noi il diritto di lamentarci per come lo fanno.
Lavorare significa fare proposte, verificarne la percorribilità, valutarne le conseguenze.. non aspettare le proposte degli altri per impallinarle una dopo l’altra.
Lavorare significa confrontare le proprie proposte con quelle degli altri, trovare compromessi, accettare il migliore possibile… non chiedere la perfezione e battere i piedi perché non c’è.
Lavorare significa analizzare le cause, identificare le responsabilità e definirne i limiti… non sparare sempre nel mucchio perché “tanto sono tutti uguali”, perché “come la metti la metti…”
La “crisi” è il campo in cui dobbiamo giocare la nostra partita. Giochiamola bene: con grinta, con intelligenza, con efficacia. E soprattutto giochiamola, non facciamo solo il tifo.