giovedì 7 marzo 2019

FAMMI CAPIRE CHI SONO

Solo chi ha radici deboli teme che la propria cultura possa essere contagiata e perdersi nel contatto con le altre.
È vero esattamente il contrario: quando culture diverse entrano in contatto, il confronto reciproco consente a ciascuna di esse di conoscersi meglio e di definire con maggiore chiarezza le proprie caratteristiche e le proprie convinzioni. 
Solo conoscendosi cadono i pregiudizi e diventa possibile una relazione che non ceda né alla tentazione della sopraffazione, né a quella dell’autosufficienza.
È la diversità che ci rivela a noi stessi e la sua accettazione a liberarci dalla paura.

domenica 3 febbraio 2019

TREPIDARE


Per chi e per cosa trepidare?
Per la situazione esplosiva in Venezuela o per come andrà Sanremo? Preoccuparsi per i bambini siriani uccisi dal gelo nei campi profughi o per i barboni uccisi dallo stesso gelo sui marciapiedi di Roma? Per la recessione che mette a rischio lavoro, risparmi e pensioni o per la fine del trattato sulle armi nucleari tra americani e russi che ci riporta indietro all’incubo della bomba... non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Ovviamente ognuno è libero di trepidare per quello che gli pare scegliendo ciò che più gli sta a cuore e nessuno ha il diritto di giudicare. E così non mi stupisco che per la gattara sotto casa mia la salute dei suoi assistiti sia più importante della recessione economica o che un ragazzo disoccupato trepidi più per l’esito del suo colloquio di lavoro che per la proliferazione delle armi nucleari.
E’ normale che ciò che ci tocca da vicino ci faccia trepidare più di ciò che è lontano. Eppure è proprio nella possibilità di preoccuparci per quello che non ci riguarda «direttamente» che si annida la nostra umanità più profonda. Tutto sta in quanto è ampio e sensibile quel «direttamente». Se lo riduciamo fino a “direttamente me stesso”, allora anche se mia moglie o i miei figli stanno soffrendo o corrono un grave pericolo posso dire che la cosa non mi riguarda. Ma come? Non mi riguarda la vita dei miei cari? Sarei giudicato un mostro. E perché? Perché tutti immaginano che pur non riguardando il pericolo “direttamente me stesso”, la relazione di affetto mi spinga ad includere in quel «direttamente» anche i miei cari. E se chi soffre o corre pericolo non è nella mia relazione di affetto? Perché dovrei chiamare i soccorsi se qualcuno che non conosco viene colto da malore o resta coinvolto in un incidente?  Perché mai dovrei preoccuparmi per la sua sorte? Eppure c’è addirittura una legge che mi impone di farlo! Questo perché nelle radici delle regole che gli uomini si sono dati per vivere insieme senza sopraffarsi reciprocamente (affidando il diritto alla forza) c’è un principio di reciproca solidarietà che tutela tutti: oggi hai un malore tu, domani potrei averlo io. Un sorta di polizza di mutuo soccorso senza la quale saremmo tutti più fragili e più esposti.
Ma la misura della nostra umanità non si esaurisce certo nell’evitare l’omissione di soccorso, essa si sviluppa nella capacità di estendere -né per calcolo, né per buonismo- i confini del «mi riguarda direttamente» e percepire che la sorte dei barboni romani e dei bambini siriani che muoiono di freddo ha in qualche modo a che fare «direttamente» con me. Non mi riguarda sul piano della responsabilità, mi riguarda perché voglio che mi riguardi, perché mi sento coinvolto come soggetto della stessa comunità umana e anche per quel principio di mutuo soccorso in cui si radica la vita sociale di ogni comunità. Diversamente è solo cronaca, cronaca che non dovrebbe neppure incuriosirmi se non per un voyerismo di cattivo gusto.
Se è vero che ognuno è libero di trepidare per quello che gli sembri ne valga la pena, è vero anche che le questioni per cui scegliamo di trepidare dicono molto di noi, delle cose a cui attribuiamo importanza, di quanto sia larga la nostra accezione del “mi riguarda/non mi riguarda” e della nostra capacità di sentirci parte viva della società e della storia. Chiediti per che trepidi (davvero) e saprai chi sei.