domenica 21 febbraio 2010

PENSIERI DI UN IMMIGRATO SULL'INTEGRAZIONE

“Mi chiamo Uddin Asraf, ho 27 anni, vengo dal Bangladesh e vivo a Roma da quasi due anni. 
Ho lavorato prevalentemente come lavapiatti in diversi ristoranti della città e, oltre ai miei connazionali, ho anche alcuni amici italiani con cui giochiamo qualche volta a calcetto e mangiamo insieme il gelato d’estate. 
Sono per carattere molto curioso e cerco di capire, per quanto possibile, le usanze, le regole e la mentalità degli italiani. Vi assicuro che non è facile: gli italiani non sono tutti uguali, si comportano in modi molto diversi e ognuno è convinto che il suo sia il modo giusto! Se uno straniero vuole capire come comportarsi guardando come si comportano gli italiani, spesso non riesce a capirlo. Per esempio quando si sale sull’autobus: qui non è come a Londra, quasi sempre sale prima chi è più veloce o più giovane, non importa l’ordine di arrivo alla fermata, se ti fermi e aspetti che salgano gli altri ti dicono “svegliati!”, se ti affretti e passi avanti ti guardano male come se fossi un prepotente… non è facile capire come si deve fare!
Cerco soprattutto di capire le parole che riguardano gli stranieri e anche questa cosa non è facile. Spesso usano parole diverse per dire la stessa cosa e parole uguali per dire cose diverse. Per esempio ho capito che la parola “immigrato” non è uguale alla parola “straniero”. Se uno è americano o australiano è “straniero”, se invece è del Perù o del Bangladesh è “immigrato” o “extracomunitario”. Eppure anche l’americano e l’australiano sono “extracomunitari”, ma nessuno li chiama così. Non credo che dipenda solo dall’aspetto fisico (certo noi del Bangladesh siamo più scuri, ma anche quelli dell’Albania, che sono più chiari, li chiamano extracomunitari), penso piuttosto che dipenda dall’avere più o meno soldi… comunque una delle prime cose che ho imparato per stare tranquillo è non fare mai questioni, non creare mai problemi e fare poche domande, (ho l’impressione che gli italiani quando non sanno che rispondere si arrabbiano), quindi in qualunque modo mi chiamano per me va bene.
Cerco lavoro, come tutti, anche perché i lavori che trovo non sono belli. Un lavoro bello è un lavoro che non dura poco, che non ti possono mandare via senza motivo, che ti pagano bene. I lavori che trovo io sono tutto il contrario: durano poco, ti possono mandare via in qualunque momento e mi pagano 5 o 6 euro l’ora anche se lavoro di notte. Ecco perché cerco lavoro: perché spero sempre di trovarne uno migliore.
Ma c’è un’altra parola che non capisco: integrazione. Negli ultimi tempi tutti dicono che bisogna favorire l’integrazione degli immigrati, sembra sia una cosa buona, ma non sono davvero riuscito a capire cosa significa.
Che vogliono dire gli italiani quando dicono che io devo essere “integrato” ?
All’inizio credevo significasse che dovevo avere un lavoro, un permesso, una casa… (infatti ero molto contento!) poi ho capito che non intendevano questo, ma solo che dovevo sembrare “meno straniero”. Ma come ? Non lo capisco.
Forse parlare meglio l’italiano? Capire le barzellette italiane? Sapere chi era Garibaldi? Capire qualcosa della politica italiana? (Parlano sempre di “destra” e “sinistra” ma è impossibile per me capire cosa vogliono dire con queste parole…). Mangiare più pasta e meno riso? Non mettere il peperoncino nel cibo? Forse se riuscirò a fare tutte queste cose mi considereranno più “integrato” e mi daranno un lavoro diverso, più sicuro, più pagato? Non lo so, forse vogliono solo che io diventi il più possibile simile a un italiano e chissà, forse –senza accorgermene- anche la mia pelle diventerà più chiara e poi mi piacerà la musica di Sanremo. Allora sarò certamente integrato. Ma sarò ancora Uddin?”