sabato 12 aprile 2014

UN'OPINIONE SU TUTTO

Perché non chiarire meglio la mia posizione sulla riforma del senato?
Perché non precisare se giudico vantaggiosa l’entrata di Etihad in Alitalia, se condivido il fiscal compact, quanto ritengo corretto che la Crimea si autodetermini con un referendum, se mi sembra una buona idea portare Totti ai mondiali e a che condizioni sono favorevole alla eutanasia?
Semplice: perché non lo so.
Perché  non so veramente cosa sia e come funzioni il fiscal compact, non sono un esperto di politica internazionale e non so quasi nulla di diritto costituzionale. Di Totti so che ha una bella moglie e di Alitalia che non è mai il volo più economico quando devo viaggiare.
Sono tante le cose che non so, che ci posso fare?

A.  Posso fingere di capirci, non è difficile incrociare quattro idee su qualunque argomento, sostenere l’opinione che mi è più simpatica (o, meglio, quella appoggiata da chi mi è più simpatico) e attaccare quella di chi la pensa diversamente:  è lo sport più diffuso. Uno sport che, con qualche differenza negli avverbi (“innegabilmente” è molto più elegante di un banale “certamente”), è lo stesso nei bar di periferia e nelle cene di “livello”.  È la soluzione più facile e diffusa, ma non è un bello sport: non serve a niente, non aiuta a capire e non aiuta a scegliere. Riempie solo il tempo di parole.

BPosso non toccare mai il merito e limitarmi ad auspicare gli esiti migliori: “speriamo che si trovi una via d’uscita”, “che si mettano d’accordo”, “che questa crisi finisca presto”, “che non vincano sempre i soliti”.  È la soluzione più innocua e a buon mercato, ma è “moscia”, totalmente inutile e fa il verso alla “pace nel mondo” e al “God bless America” delle miss appena elette e di certi parroci di paese alla fine dei matrimoni. Non serve neanche a riempire il tempo.

CPosso informarmi, entrare nel merito delle questioni, cercare di farmi davvero un opinione mia invece di prenderla in prestito da qualcuno. Sarebbe certamente l’opzione più seria… a condizione di avere un sacco di tempo a disposizione (=non aver bisogno di lavorare), possedere una cultura enciclopedica, una rigorosa capacità di analisi e amici competenti (e comunque non basterebbe). Chi se lo può permettere?

Temo che alla fine dovrò fare pace con la realtà:
-          ci sono e ci saranno molte materie del cui merito non so e non saprò mai nulla: la realtà è sempre più vasta e complessa di quanto appare
-          ci sono e ci devono essere alcune questioni sulle quali posso (e devo) permettermi di approfondire, capire e farmi davvero una mia opinione (è chiaro che devo scegliere quali e spero di non ridurmi a “undici modi di fare la crostata alle visciole”)
-          è buona norma non parlare di quello che non so e distinguere con chiarezza quelle che sono opinioni mie da quelle che mi limito a riferire o alle quali semplicemente aderisco (magari cercando di essere in grado di dire perché)
-          delegare (non è una parolaccia, né una sconfitta) a chi è competente le decisioni da prendere, cercando di aumentare il più possibile il mio livello di consapevolezza, ma senza pretendere di saperne più di chi ha dedicato una vita a studiare quella questione; accettando –inevitabilmente!- il rischio di sbagliare nel decidere di chi fidarmi: potrei beccare il medico, l’avvocato o il commercialista incompetente, o che -nel mio caso- sbaglierà…
-          anche le questioni cosiddette “etiche”, sulle quali sembra che la competenza non serva, sono questioni complicate (forse anche più di quelle tecniche) e prima di sparare sentenze sarebbe il caso di farsi un giro -senza pregiudizi- soprattutto tra le ragioni di chi non la pensa come me.



sabato 5 aprile 2014

PADRE E' CHI IL PADRE FA ?

Chi non conosce la bellissima pagina di Khalil Gibran che parla dei figli? 
I tuoi figli non sono figli tuoi. Sono i figli e le figlie della vita stessa.”

Non è un suggestivo paradosso poetico: è la semplice verità. Una verità così sconvolgente che i padri ci mettono anni a capirla (e certi non ci arrivano).
Diventare padre è una delle esperienze più belle e profonde che si possano vivere. Non si tratta del fatto biologico (c’è chi diventa padre e neanche lo sa), ma del significato che attribuiamo a questa relazione e dei sentimenti che essa suscita.
Tenere in braccio un neonato pensando che la sua vita dipende in tutto e per tutto da te è gratificante (e terrificante). E come spesso accade  quando si parla di sentimenti gratificanti, corriamo la tentazione di “congelarli” come se fosse possibile mantenerli uguali nel tempo. E invece le relazioni tra le persone (e così i sentimenti) cambiano, perché cambiano le situazioni e le persone stesse.
Per quanto poetica e gratificante, l’istantanea del giovane sorridente che tiene in braccio un neonato è solo il primo fotogramma di un film che durerà alcuni anni, un film la cui qualità e il cui spessore dipenderà dai fotogrammi che seguiranno. Il padre non sarà sempre quel giovane sorridente e -soprattutto- il figlio sarà rapidamente molto diverso dal fagottino della foto e avrà bisogno di cose non acquistabili in farmacia o al supermercato. I due cambieranno insieme inventandosi (si spera) un modo di comunicare e scambiarsi informazioni utili.
Le funzioni di cura materiale e quelle di cura “culturale” (quale baby sitter, quali giocattoli, quale scuola, quali film, ecc.), si confondono spesso tra loro. Poi  gli anni passano, la cura materiale non serve più (a volte resta il supporto economico, ma prestare un bancomat è diverso dallo scegliere un viaggio) ed anche quella “culturale” finisce gradualmente per non essere più né necessaria, né richiesta.
E a quel punto cosa rimane? La risposta è semplice: della funzione di padre non rimane nulla, non deve rimanere nulla. Se rimane qualcosa vuol dire che non ha funzionato bene.
Benché la sua intensità ci porti a considerare questa esperienza tra quelle “per sempre”, è importante saper distinguere la funzione (che finisce), dalla relazione d’affetto (che -si spera- rimane).
Nella percezione affettiva i figli sono figli per sempre (senza troppi distinguo!), ma la vera sfida è proprio quella di riuscire a sentirsi padri anche quando la funzione di padre non serve più.
Forse vale la pena rileggere con attenzione qualche altro verso della pagina di Gibran:
“Tu li metti al mondo ma non li crei.
Puoi dar loro tutto il tuo amore, ma non le tue idee. Perché loro hanno le proprie idee. Tu puoi dare dimora al loro corpo, non alla loro anima.
Puoi cercare di somigliare a loro. ma non volere che essi somiglino a te. Perché la vita non ritorna indietro, e non si ferma a ieri. " (Khalil Gibran, Il Profeta, 1923)