mercoledì 24 giugno 2015

QUI ED ORA


La convinzione che il periodo storico in cui ci troviamo a vivere sia il più evoluto fin qui raggiunto dall’umanità è talmente radicata e pervasiva che non ha neppure più bisogno di essere espressa: è diventata il presupposto del nostro ragionare.

In gran parte questo dipende dalla indebita trasposizione dal piano della evoluzione tecnica (l’auto, la lavatrice, il telefono, internet…)  a quello della evoluzione del pensiero (Salvini è più evoluto di Kant?) e addirittura a quello etico della evoluzione dei valori (migliorano con gli anni come il vino? )

Ad illuderci ulteriormente  di essere al vertice di ogni possibile evoluzione c’è un’altra indebita estensione, questa volta non sull’asse temporale ma su quello culturale:  tendiamo cioè a ritenere che se un contenuto è considerato evoluto nella nostra cultura, lo sarà “ovviamente” anche per  tutte le altre. Come se i valori della nostra cultura fossero “assoluti” e dunque validi indipendentemente dal tempo e dal luogo in cui li trasponiamo. Ma non ha alcun senso ritenere “valori”  determinati atteggiamenti, priorità, comportamenti o aspirazioni a prescindere dalla cultura alla quale li riferiamo: essi potranno essere riconoscibili come valori o disvalori solo in relazione al luogo e al tempo in cui si considerano. 
Facciamo un esempio (volutamente non politicamente corretto) per evidenziare il corto circuito.
Nella evoluzione valoriale della nostra cultura occidentale “oggi” e “qui” consideriamo la pena di morte un disvalore;  ci sentiamo fieri di questa nostra convinzione e (tranne qualche forcaiolo che ci affrettiamo a biasimare) auspichiamo  che presto tutti i paesi del mondo si adeguino. Non saprei dire se sarà più facile convincere i cinesi o i texani, ma siamo certi che ormai sia solo questione di tempo: non abbiamo dubbi che si tratti di un valore assoluto, una illuminata consapevolezza raggiunta dopo secoli di miopìa etica.  Eppure per molti secoli tutti erano sinceramente convinti che la pena capitale per alcuni reati fosse la cosa più giusta e corretta che si potesse decidere. E non stiamo parlando solo di primitivi vandali o feroci mongoli, stiamo parlando di francesi del secolo dei lumi e di venerabili pontefici (solo tra il 1815 e il 1870 nello stato pontificio furono eseguite oltre 600 condanne a morte e Pio VII ripristinò la ghigliottina ritenendola un metodo “agile e veloce”).  Tutti stupidi, tutti invasati, tutti miopi? O semplicemente, esattamente come noi, tutti figli del loro “lì-ed-allora”  che vale tanto quanto il nostro “qui-ed-ora” ?
Ovviamente anche io sono figlio del qui-ed-ora e penso che la pena di morte sia inutile , crudele e insensata, ma non ha alcun senso giudicare il passato con gli occhi di oggi, come se fosse l’espressione di ottusi primitivi. Ci costa accettare di non essere i migliori “in assoluto” perché siamo intimamente convinti di esserlo, ma ogni epoca ha pensato di sé la stessa cosa. Anche in quelli che noi chiamiamo i “secoli bui” del medioevo erano convinti di essere più evoluti di chi li aveva preceduti.
Forse dovremmo liberarci da quest’ansia di primeggiare e soprattutto dall’ossessione di pretendere valori che siano validi “ovunque e sempre”, accettando serenamente  che il “qui-ed-ora” non è una limitazione che toglie valore a ciò di cui siamo convinti, ma -al contrario- è la condizione necessaria perché  il nostro agire e il nostro valutare abbiano significato.