domenica 22 gennaio 2012

SENZA PRECEDENTI

Ci piace pensare che quello che ci accade, che stiamo vivendo e gli eventi di cui siamo testimoni siano speciali, unici, mai accaduti prima. Ci piace così, ci fa sentire importanti, probabilmente ci tranquillizza circa la nostra unicità.
Del fatto  che si tratti di eventi senza precedenti sembrano molto convinti soprattutto i giornalisti: mai un’estate così calda, una nevicata così abbondante, un attentato così grave, un gol così bello, uno spread così alto. Apprendiamo, con stucchevole ripetitività, che questa guerra, questa stagione o questa crisi economica sono sicuramente senza precedenti, così come le conseguenze che -dato che non ci sono precedenti(!)- non riusciamo neppure ad immaginare.
Cosa avrebbero scritto questi stessi giornalisti se –tanto per fare qualche esempio- avessero dovuto commentare la peste del 1348 in tutta Europa, la guerra dei trent’anni, il terremoto di Lisbona del 1755, il genocidio armeno, la crisi economica del 1929 o il processo di Norimberga? Ovviamente che si trattava di eventi senza precedenti.
Letteralmente ogni evento, anche il tramonto di oggi, è “senza precedenti”, nel senso che è unico e non ripetibile. Ovviamente l’accezione che si vuol dare all’espressione è un’altra, è sottolineare che non si tratta di sviluppi previsti e ordinari, ma imprevisti e fuori della norma. Ma, appunto, c’è una norma nella storia? E siamo sicuri che quell’evento –pur nella sua “eccezionalità”- non si sia mai verificato? “Mai successo a memoria d’uomo”: un po’ corto come metro!
Probabilmente l’esigenza che sta dietro questo modo di parlare è un’altra: abbiamo bisogno di dare un nome alla paura che la nostra storia personale e sociale sia troppo “normale”, che i problemi con cui dobbiamo fare i conti siano gli stessi con cui si sono confrontati quanti ci hanno preceduto, come se questa ammissione li svalutasse, li rendesse poco interessanti e allora ci affanniamo a spiegare che non è così, che noi stiamo vivendo eventi epocali, che i nostri problemi sono straordinari, che sono insomma “senza precedenti”.
Perdiamo così di vista una evidenza elementare: che a rendere davvero senza precedenti questa storia, questi anni e questi eventi è il fatto che a viverli siamo noi (che non c’eravamo quando li vivevano gli altri), è il fatto che sono i “nostri” anni, sono i “nostri” problemi e adesso la responsabilità di affrontarli e risolverli è la “nostra”.
Ma forse è proprio di questo che abbiamo paura, forse quando bisogna affrontare il drago e si teme di non farcela è meglio cominciare a dire che si tratta di un drago senza precedenti… chi potrà stupirsi se non lo uccidiamo?
Siamo proprio sicuri che confrontarsi con spread e precarietà sia più duro che misurarsi con carestie e invasioni? Eppure chi ci ha preceduto ha dovuto farlo.
Questa è la nostra storia. Ora tocca a noi rimboccarci le maniche: senza lagne e senza precedenti.


sabato 14 gennaio 2012

EMOZIONI MAROCCHINE

E' sempre istruttivo immergersi per un po' in una cultura diversa dalla propria.
Aiuta a capire meglio le nostre abitudini, a definirne i confini e ad interrogarci sul loro senso.
Confrontandoci -senza pregiudizi- con stili di vita e valori diversi dai nostri è possibile cogliere la relatività di norme e comportamenti che altrimenti saremmo tentati di considerare assoluti.
Quest'anno siamo andati una settimana in Marocco. Ovviamente abbiamo visto solo il Marocco dei turisti, quello delle brulicanti medine multicolori, degli infiniti mercatini a labirinto, delle raffinate moschee (di fronte a quella immensa di Casablanca ho capito che effetto che deve fare San Pietro ai giapponesi !).
Sappiamo benissimo che quello che abbiamo visto non è tutto il Marocco e così come un turista che visita il Colosseo, Piazza Navona e il Quirinale non può dire di conoscere Roma (che ne sa lui di Corviale, Malagrotta e gli ingorghi sull'olimpica?) o un viaggiatore che parla con un tassista nervoso, un cameriere stanco e un commerciante furbo non può dire di conoscere i romani, non possiamo certo affermare di conoscere il Marocco e i marocchini, tuttavia la breve "immersione" ha avuto il suo effetto: abbiamo intuito che 34 milioni di persone, un terzo delle quali sotto i 14 anni, in un paese bello e fertile grande il doppio dell'Italia hanno voglia di dire la loro e i numeri per dirla, soprattutto nei prossimi decenni.
Ovviamente nessuno si aspettava di incontrare cavalieri berberi galoppare nel deserto (tranne che negli spettacolini kitsch per turisti), ma quando ci è sembrato strano vedere vecchi caracollare su un asino mentre parlano al cellulare e donne velate navigare velocemente su internet ci siamo resi conto di quanto la nostra conoscenza degli altri sia condizionata dagli stereotipi che -ottuse semplificazioni!- ci impediscono di vedere e di capire.
Ogni paese islamico ci ripropone una visione del mondo e del tempo per noi così difficile da capire (ci sembra sempre che appartenga al passato, ovviamente al "nostro" visto che ci consideriamo la misura del mondo) e troppo facile da etichettare. Se, come dice Carlo M. Martini, “le religioni non sono nei libri, ma nel vissuto della gente di tutto il mondo” forse per capirle dovremmo smettere di leggere editoriali scritti in un attico dei Parioli e andare conoscere da vicino chi ogni giorno interpreta con quegli occhi la sua vita e la sua storia, ascoltando senza pretendere di saperne per forza più di lui.
Poco più di tre ore di aereo per ritrovarsi in un tempo diverso dal nostro, non un'altra epoca ma un tempo più "dilatato", un tempo che sembra calibrarsi più sulle esigenze fondamentali che sui promemoria del blackberry.
Siamo tornati portando negli occhi i colori pastello del souk di Marrakech, nelle orecchie il muezzin che proclama cinque volte al giorno che Allah è grande e nell'anima la conferma che il mondo è più plurale di quanto crediamo.