Non mi sembra una conquista, anzi.
Il referendum consente agli elettori di pronunciarsi senza alcun intermediario su un tema
specifico in forma secca e polarizzata: si
o no. La democrazia diretta non solo esclude ogni delega rappresentativa,
ma -con essa- esclude la possibilità
stessa di ogni mediazione. Quale che sia la complessità del problema esso deve
necessariamente essere ridotto ad un si o ad un no.
Ecco, appunto, io invece
l’intermediario lo voglio: ne ho bisogno perché le mie competenze sono
(assai) ridotte e perché mediare le soluzioni ai problemi politici è un lavoro
impegnativo e non è il mio.
L’intermediazione serve proprio a far sì che la competenza nel merito e la capacità di mediazione svolgano la loro funzione. So bene che ogni intermediazione
e ogni delega comporta rischi e può essere insoddisfacente (sia sul versante
della competenza che su quello della mediazione), ma se una funzione è difettosa
va ridefinita, non annullata. Se il medico che mi cura non mi dà fiducia cambio
medico, non faccio decidere al condominio la mia diagnosi e la mia terapia.
La scelta migliore
non è garantita dal numero dei consensi, ma dalla competenza nel merito e dalla
capacità di mediazione fra le diverse prospettive. E poi davvero tutte le
scelte si possono ridurre ad un si o ad un no? E se il numero dei consensi
fosse garanzia di una buona scelta, perché allora non far decidere a un
referendum se l’imputato in un processo è colpevole o innocente, o quale intervento
chirurgico sia il migliore per un malato o a chi far guidare l’aereo su cui si
sta per partire?
Se una questione è complessa, complessa deve essere la risposta e una risposta complessa esige
competenze, approfondimenti, tempi
per le necessarie mediazioni.
Senza competenza e mediazione le scelte saranno
inevitabilmente figlie della paura e della rabbia, cioè dei due sentimenti più
facili da condizionare.
La condizionabilità è inversamente proporzionale alla
competenza. Le persone non competenti nel merito sceglieranno necessariamente
in base a simpatie/antipatie o a convinzioni superficiali indotte e la loro
influenzabilità favorirà chi ha maggiori
strumenti e mezzi economici per guidare il condizionamento.
Sono anch’io -senza riserve- per la partecipazione attiva e diretta dei cittadini alla vita politica e
alla costruzione del consenso sulle scelte, ma non credo affatto che maggiore
partecipazione significhi decidere tutti su tutto a colpi di si e di no;
partecipazione è aumentare il livello di consapevolezza di un numero sempre
maggiore di persone, comprendere la complessità delle questioni e valorizzare
le competenze di ognuno. Altrimenti è come giocare alla roulette russa.