domenica 16 novembre 2014

DECLINO ?


Ho ritrovato questa foto di oltre mezzo secolo fa, avevo sette anni e per la prima volta mi sedevo al posto di guida. Guardandola mi sono sentito privilegiato.
Era il 1960, il famoso anno del boom, e nella foto spiccano due dei suoi simboli più noti: la mitica “600” e una certa disinvoltura nel fare figli. Mi sono sentito privilegiato perché mi è capitato di vivere attraversando i decenni (economicamente) più floridi, quelli in cui era ovvio che il futuro sarebbe stato più ricco e più bello del passato, quelli in cui la tecnologia ci ha stupito con effetti speciali, quelli in cui “le magnifiche sorti e progressive” su cui ironizza Leopardi sembravano realizzarsi alla faccia del suo pessimismo.
E invece ora pare proprio che la festa sia finita. A parte i politici che -per mestiere e convenienza- ci ripetono che “la crisi è ormai alle spalle” e che “il peggio è passato”, gli economisti la pensano diversamente. Per togliere ogni dubbio J.K.Galbraith ha intitolato il suo ultimo saggio “The End of Normal” e invita tutti a dimenticarsi la normalità e ad abituarsi alla “economia del meno”. Dice Galbraith che l’instabilità e la crisi sono ormai il pane quotidiano e mai più avremo la crescita così come l’abbiamo conosciuta. Dunque, meglio adattarsi al nuovo stato e vivere al meglio.
Insomma inutile sperare nel lieto fine, non arriveranno i “nostri” a liberarci, né messia risolutori.
E’ questo il famoso “declino del paese”?
Immagino di si. In pratica cosa ci dobbiamo aspettare? E’ molto semplice: di essere più poveri.
Di avere meno certezze e meno soldi, di doverci far durare il più possibile quello che abbiamo (dalla macchina ai vestiti), meno viaggi, meno cinema, meno pizzeria. Fino a qui è dura, ma non è una tragedia. Il peggio è doverci accontentare di meno prevenzione, meno diagnostica (analisi, ecografie, tac), meno accesso ai servizi sanitari, meno istruzione, meno cultura.
Questo significa essere più poveri: è tosta ma è così, meglio non prenderci in giro.
Pensavamo che questo non ci sarebbe mai accaduto, che queste cose succedessero solo nel terzo mondo, in quelli che chiamavamo “paesi in via di sviluppo” nel senso che stavano percorrendo la via che noi avevamo già percorso… e invece qualcosa si è inceppato, forse abbiamo voluto strafare, abbiamo fatto i conti senza l’oste e ora ci rendiamo conto che “le magnifiche sorti e progressive”, non erano progressive all’infinito.
Ovviamente mi dispiace, ma non mi terrorizza.
Mi sento un po’ in colpa per il privilegio di cui -senza merito- ho goduto perché chi arriva adesso non ne godrà, ma non mi terrorizza.
Non mi fa piacere pensare che forse i miei nipoti non avranno la possibilità di studiare e di viaggiare che ho avuto io e che hanno avuto i miei figli, ma non credo che per questo saranno necessariamente persone peggiori e meno felici.
Ho conosciuto (e vissuto in) paesi in situazioni economiche ben peggiori di quella “declinata” che si profila nel nostro paese, ma questo non impediva alle persone di cercare e trovare un loro equilibrio, di vivere le loro relazioni, di immaginare e realizzare progetti.
Per questo non mi terrorizza perché penso che sia possibile vivere bene ed avere buone relazioni con quanti condividono gli anni della nostra esistenza, anche senza cambiare macchina e vestiti troppo spesso.
E poi la vita di ciascuno è unica, non ha molto senso fare confronti; forse -chissà- quello che noi chiamiamo declino sarà un giorno descritto come un ridimensionamento dei bisogni e una ridistribuzione più saggia delle risorse.  O almeno mi piace crederlo.

domenica 9 novembre 2014

IL RIFIUTO DELLA COMPLESSITA'

Vuoi più bene a papà o a mamma? Sei stato buono o cattivo? A scuola è andata bene o male?
Ci sono alcuni aspetti dell’infanzia dai quali non riusciamo mai a staccarci del tutto. Uno di questi è la convinzione che i giudizi debbano e possano essere ridotti sempre a una scelta secca tra due opzioni.

Anche se da bambini percepivamo nettamente l’assurdità di alcune domande e l’impossibilità (anzi l’ingiustizia!) di ficcare dentro un si o un no tutto quello che in una scelta secca non ci può stare, da adulti -una vendetta?- pretendiamo che i giudizi che riguardano le relazioni,  la politica, l’economia, il lavoro, la vita, siano riconducibili ad un impossibile on-off.
La realtà è sempre più complessa, conviene farci pace. La complessità non è un sopruso a cui ribellarsi, è semplicemente come sono fatte le cose, come siamo fatti noi.
Spesso la complessità non ci piace, vorremmo che tutto fosse più semplice e più rapido: così non è e non ci stiamo. Ci scatta la nostalgia della lavagna divisa in due: buoni e cattivi, degli indiani e dei cowboys…
Non avremmo mai voluto sapere che ci sono anche i quasi buoni, i certe-volte cattivi, i mezzosangue, i traditori, gli indiani che sembrano cowboys; non avremmo mai voluto imparare che senza-se-e-senza-ma va bene per le campagne elettorali e gli striscioni nei cortei e invece la vita è strapiena di “se” e di “ma”, e vivere, capirsi e amarsi è possibile solo se impariamo tener conto con saggezza di questi “se” e di questi “ma”…; non avremmo mai voluto capire che la odiatissima espressione del professore al liceo dipende dal contestonon riguardava solo la sintassi latina, ma tutto quello che ci sarebbe capitato dopo.
E invece tutto questo l’abbiamo saputo, l’abbiamo imparato, l’abbiamo capito: lo sappiamo benissimo, ma ci piace giocare a fare i bambini e far finta che le cose siano semplici, che sia possibile ridurre tutto a on-off e che –se non è possibile- è perché qualcuno ci sta truffando…
Intendiamoci: altro è il giudizio, altro è la decisione. 
Il giudizio è necessariamente complesso, sfumato, legato a variabili non prevedibili, a volte contraddittorio…, ma questo non può tradursi in un alibi per non decidere nulla, o per rimandare all’infinito cosa fare. 
Decidere significa -appunto- tener conto del giudizio e della sua complessità e correre il rischio di fare o non fare, andare o non andare, prendere o lasciare. E’ sul piano della singola decisione che vale la regola dell’on-off, è lì che non ci sono nascondigli… non il contrario.
Com’erano tranquillizzanti le storie in bianco e nero… (maledetti grigi!)