sabato 5 aprile 2014

PADRE E' CHI IL PADRE FA ?

Chi non conosce la bellissima pagina di Khalil Gibran che parla dei figli? 
I tuoi figli non sono figli tuoi. Sono i figli e le figlie della vita stessa.”

Non è un suggestivo paradosso poetico: è la semplice verità. Una verità così sconvolgente che i padri ci mettono anni a capirla (e certi non ci arrivano).
Diventare padre è una delle esperienze più belle e profonde che si possano vivere. Non si tratta del fatto biologico (c’è chi diventa padre e neanche lo sa), ma del significato che attribuiamo a questa relazione e dei sentimenti che essa suscita.
Tenere in braccio un neonato pensando che la sua vita dipende in tutto e per tutto da te è gratificante (e terrificante). E come spesso accade  quando si parla di sentimenti gratificanti, corriamo la tentazione di “congelarli” come se fosse possibile mantenerli uguali nel tempo. E invece le relazioni tra le persone (e così i sentimenti) cambiano, perché cambiano le situazioni e le persone stesse.
Per quanto poetica e gratificante, l’istantanea del giovane sorridente che tiene in braccio un neonato è solo il primo fotogramma di un film che durerà alcuni anni, un film la cui qualità e il cui spessore dipenderà dai fotogrammi che seguiranno. Il padre non sarà sempre quel giovane sorridente e -soprattutto- il figlio sarà rapidamente molto diverso dal fagottino della foto e avrà bisogno di cose non acquistabili in farmacia o al supermercato. I due cambieranno insieme inventandosi (si spera) un modo di comunicare e scambiarsi informazioni utili.
Le funzioni di cura materiale e quelle di cura “culturale” (quale baby sitter, quali giocattoli, quale scuola, quali film, ecc.), si confondono spesso tra loro. Poi  gli anni passano, la cura materiale non serve più (a volte resta il supporto economico, ma prestare un bancomat è diverso dallo scegliere un viaggio) ed anche quella “culturale” finisce gradualmente per non essere più né necessaria, né richiesta.
E a quel punto cosa rimane? La risposta è semplice: della funzione di padre non rimane nulla, non deve rimanere nulla. Se rimane qualcosa vuol dire che non ha funzionato bene.
Benché la sua intensità ci porti a considerare questa esperienza tra quelle “per sempre”, è importante saper distinguere la funzione (che finisce), dalla relazione d’affetto (che -si spera- rimane).
Nella percezione affettiva i figli sono figli per sempre (senza troppi distinguo!), ma la vera sfida è proprio quella di riuscire a sentirsi padri anche quando la funzione di padre non serve più.
Forse vale la pena rileggere con attenzione qualche altro verso della pagina di Gibran:
“Tu li metti al mondo ma non li crei.
Puoi dar loro tutto il tuo amore, ma non le tue idee. Perché loro hanno le proprie idee. Tu puoi dare dimora al loro corpo, non alla loro anima.
Puoi cercare di somigliare a loro. ma non volere che essi somiglino a te. Perché la vita non ritorna indietro, e non si ferma a ieri. " (Khalil Gibran, Il Profeta, 1923)



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