mercoledì 6 gennaio 2016

LA RINUNCIA ALLA COMMOZIONE

Non ci si può commuovere sempre.
La commozione è come la tenerezza: l’abitudine la uccide.
Quando -poco più di un anno fa- l’ostaggio americano Peter Kassig fu sgozzato da Jihadi John, il boia dell’Isis, ci commuovemmo, restammo inorriditi dal video, colpiti dalle foto della moglie e del figlio; quando -pochi giorni fa- il nuovo boia Siddartha Dhar ha sparato in testa a cinque “spie” inglesi ci siamo interrogati su quanto il suo accento imitasse quello di Jihadi John e Cameron ha liquidato il fatto come “roba da disperati”… non ci siamo neanche chiesti chi erano le cinque vittime. Non ci si può commuovere sempre.
Quando - solo quattro mesi fa- la foto del piccolo Aylan sulla spiaggia di Bodrum ci tolse il sonno, ci commuovemmo fino alle lacrime; addirittura  Angela Merkel si commosse tanto da spalancare le porte della Germania ai siriani in fuga. Oggi siamo in grado di digerire un paio di barconi al giorno e bambini annegati a grappoli tra un panettone e un pandoro. Non ci si può commuovere sempre.
E’ normale. Certo che è normale.
Non è che siamo diventati insensibili… solo che per commuoverci abbiamo bisogno di qualcosa di nuovo. Che ne so… un gattino zoppo sul gommone? Un peluche sporco di sangue? Un boia che uccida stando in equilibrio su uno sgabello?
E ora che non ci commuoviamo più per così poco, cosa siamo diventati?
Più adulti? più razionali? più pragmatici?
Liberati dall’impiccio infantile della commozione,  siamo ora in grado di affrontare i problemi con maggiore determinazione ed efficacia?
Con cosa l’abbiamo sostituita la nostra capacità di commuoverci? Probabilmente con la capacità di annoiarci. Perché la commozione fine a se stessa non ha senso, lo acquista solo se funziona da detonatore, se spinge a reagire, se evolve in analisi, se innesca scelte, azioni concrete e cambiamenti.
Se non succede muore, come una carezza stanca uccide la tenerezza.

E’ vero, non ci si può commuovere sempre, ma di abitudine si può anche morire.

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